martedì 2 giugno 2015

La paura del privato frena il recupero della Cavallerizza

L’intervento urbanistico che può trasformare Torino 

di Beppe Minello, La Stampa, 2 giugno 2015


Il futuro di Torino passa anche e ancora dal centro. Là dove storici palazzi, occupati dall’Esercito e dalle famiglie dei suoi militari, garage della polizia, tribunali militari e tutto ciò che lo Stato ha infilato in quella che tutti conoscono come la «Cavallerizza» con il risultato di nasconderla ai torinesi e creando un «buco » nel recupero totale dello straordinario Polo Reale, nascerà qualcosa «che è 100 volte la Reggia di Venaria»
preconizza Elisabetta Forni sociologa dell’Urbanistica al Politecnico.

La super-Reggia

Ma su come realizzare la super-Reggia la città si divide. Da una parte ci sono il Comune e una task-force di enti e istituzioni, dall’altra i giovani occupanti dell’«Assemblea Cavallerizza 14,45» alleati con esponenti del mondo culturale e politico. Entrambi vogliono la stessa cosa: recuperare lo straordinario complesso salvaguardandone ogni aspetto storico-culturale e tutelandone la fruizione pubblica. Ma ognuno indica una strada diversa e solo il buonsenso e la buona volontà potranno, un giorno, farle convergere sul raggiungimento del bene comune.

Comune e occupanti
Palazzo Civico, com’è noto, ha imboccato la strada di far sedere attorno a un tavolo tutti, o quasi, i soggetti e le istituzioni che hanno o possono avere un interesse agli spazi della Cavallerizza, compresa la Sovrintendenza che dovrà vigilare su vincoli e tutele.Un tavolo aperto a chiunque, anche a chi non è stato invitato ma ha un’idea, un progetto da proporre. Da quel tavolo il Comune si prefigge di far uscire, in autunno, unmasterplan di tutto ciò che sarebbe possibile realizzare nei 30milamq di edifici con tanto di vincoli e sostenibilità economica da presentare agli investitori privati i quali, fino ad oggi, hanno già disertato due volte i bandi con i quali la Cavallerizza, così com’è, era stata offerta almercato.

«Non basta»
«Non basta» è l’obiezione che arriva dalle docenti del Politecnico, Elisabetta Forni e Silvia Gron, invitate al tavolo comunale dall’assessore Gianguido Passoni, dal quale dipende il patrimonio comunale e quindi una bella fetta della Cavallerizza. Lo scopo dell’invito («Non aderiamo al protocollo firmato da tutti quelli che si sono seduti al tavolo comunale ») era, ed è, quello di illustrare «la visione - spiegano Forni e Gron - sulle possibili destinazioni del manufatto, parte della zona di Comando del sito Unesco delle Regge Sabaude, emersa dal lavoro condotto in Ateneo dall’autunno scorso e presentato nel convegno di ottobre al Castello delValentino». «Non basta» perchè, a giudizio delle due docenti, l’indagine che intende fare il Comune «non può essere completa senza uno studio approfondito su tutta una serie di aspetti, da quali materiali e fatta la Cavallerizza e quali stratificazioni storiche contiene a quanto e in che modo è compromessa dal punto di vista
strutturale. Ad oggi, c’è giusto una planimetria dei luoghi. Ma per realizzare questi approfondimenti, base di uno studio di fattibilità serio, ci vogliono mesi, un tempo che non ci sembra contemplato dal Comune». Il secondo passo per le due docenti, tra le persone più ascoltate dai giovani occupanti i quali, in ogni caso, non le riconoscono come loro rappresentanti («Sono lì come Politecnico»), dovrebbe «essere quello di valutare la capacità degli spazi ad accogliere nuove funzioni».

«Illudiamo il privato»
«É inutile illudere un eventuale compratore - dice Elisabetta Forni - di poter realizzare un mix di interventi, alloggi e attività commerciali accanto a destinazioni culturali, che alla prova dei fatti non renderebbero remunerativo l’investimento». Passoni e il Comune, al contrario, basano il loro progetto di recupero ipotizzando il coinvolgimento, ben delimitato dal masterplan allo studio, dei privati: « É l’unico modo - non si stanca di ripetere Gianguido Passoni -, di questi tempi di scarse risorse pubbliche, per poter realizzare l’ambizioso e necessario obiettivo di recupero della Cavallerizza senza rinunciare alla fruizione pubblica del bene. C’è la Sovrintendenza a vigilare: cosa si pretende di più?». Ma la professoressa Forni sbandiera le
delibere che stanno alla base del protocollo comunale sottolineate là dove si parla di «funzioni residenziali ammesse in tutti gli immobili (eccetto quelli per uso pubblico e cioè Cavallerizza Reale, la Rotonda e il maneggio Chiablese) fino al 50%» della superficie. Anche le due docenti, come uno dei protagonisti dello studio comunale, l’architetto Matteo Robiglio di Homers che con Equiter dovrà preparare il masterplan, guardano alle scuderie imperiali di Vienna come esempio di recupero da perseguire. Ma mentre per il Comune l’alleanza con il privato è imprescindibile («Chi paga?» direbbeTotò), per le due docenti e il movimento di cui sono ascoltate espressioni, dovrebbe, anzi «sarà il progetto stesso di un luogo culturale di
eccellenza ad attirare, nel tempo, ché nessuno si illude di realizzare tutto in un colpo solo, i fondi europei, statali, privati per creare un qualcosa che varrebbe cento Regge di Venaria, unico nel panorama europeo».

«I privati in concessione»
Le docenti pensano, ad esempio, a una «Fondazione di partecipazione» dove più realtà concorrono a creare e a gestire il bene, «anche i privati coinvolti con concessioni per un congruo numero di anni necessari a rientrare dell’investimento, dopo di ché il bene tornerebbe nella disponibilità del pubblico». Sicure che funzionerebbe? «No, ma approfondire l’ipotesi è obbligatorio. Se si dimostrasse che questo modello non sta in piedi allora sarebbe corretto valutare altre strade».

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