E
così la Cavallerizza rinasce.
Apprezzate
o meno le trasformazioni nei secoli, ormai è evidente quale sia il
suo destino: risorgere dalle sue ceneri. Il profilo della
«Cavallerizza che verrà» lo traccia Matteo Robiglio, professore
esperto in restauro urbano e architettonico, cardine di una squadra
di esperti impegnata a definire il futuro di una ex zona di servizio
di Palazzo Reale, e oggi patrimonio dell’Unesco.
Ma soprattutto dei
torinesi. Attenti a molte cose della città. Sorti della Cavallerizza
incluse.
Professore, si cimenterà nella
riqualificazione di un edificio attorno al quale si sono accesi
dibattiti anche duri. Affronta il lavoro con quali preoccupazioni?
«Una
che considero “sacra” e che tengo stretta: rispettare la storia
dell’edificio».
Ma
non si dovrebbe parlare di futuro?
«Sì,
ma senza dimenticare il passato, la natura della Cavallerizza e gli
spazi originali. La sua nuova vita partirà da lì».
Da
un lavoro conservativo?
«Per
quel che riguarda la struttura, sì. Parte del nostro lavoro sarà
proprio rileggere documenti d’archivio e vecchie piantine».
Recuperare
gli spazi per farne un uso diverso?
«Quando
parlo della Cavallerizza subito penso al sistema di scuderie
imperiali di Vienna.
Sono
state ristrutturate, bellissime. Ma lì oggi è nato un polo di
attività differente: gallerie
d’arte
e caffè, residenze universitarie e piccole botteghe».
Sta
toccando un punto nevralgico, lo sa vero?
«So
che è la sua destinazione a essere oggetto di scontri e
preoccupazioni. Per esempio quelle di chi oggi la occupa,
l’«Assemblea 14.45». Ci tengo a spiegare che a me, come
cittadino, interessa una cosa sola».
Dica...
«Che
la Cavallerizza dovrà tornare ad essere vissuta da tutti i
torinesi».
Ammetterà
che ci sono meno chance se poi, una volta recuperata, saranno privati
ad investici, non crede?
«Il
momento in cui la Cavallerizza è stata, in assoluto, frequentata di
meno è stato quando il “proprietario” era lo Stato. Era parte di
un’ala destinata alle forze dell’ordine che lì ci parcheggiava
le auto. E nessuno poteva entrarci».
Crede
di poter garantire che la Cavallerizza resterà della città?
«Sta
negli accordi con il Comune. Nel nostro gruppo di lavoro c’è un
esperto di restauro e uno
specialista
nell’ascolto del territorio. Uno storico archivista e un legale
specializzato in diritto dei beni pubblici, demaniali e
patrimoniali».
Un
avvocato, e perché?
«Per
costringere a una serie di vincoli e garantire l’uso pubblico anche
di quegli spazi che, eventualmente, saranno privatizzati ».
Parlare
di vincoli è come invitare alla fuga proprio i privati...
«Non
scappano quando le regole sono chiare e ben definite fin
dall’inizio».
Quando
restituirà al Comune il piano di restauro?
«Settembre,
ottobre, non oltre ».
E
su quale parte della Cavallerizza si concentrerà maggiormente?
«La
parte bassa della struttura. Quella deve essere recuperata in fretta
per trovare le giuste destinazioni, e tornare adessere veramente
patrimonio di tutti. Non soltanto per certificazione dell’Unesco».
Intervista
«Ciò
che conta è che laCavallerizza
torni
ad essere frequentata e vissuta da tutti i torinesi»
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